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Cucina

Vegetariani in Cina

In Cina i vegetariani non sono tanti, soprattutto se confrontati con quelli di altri paesi come l’Australia e l’India. Negli ultimi anni, però, il numero di coloro che non mangiano carne è in costante aumento, in particolare tra la classe media. Si stima che i vegetariani e i vegani cinesi siano all’incirca il 5 per cento della popolazione totale. Una sempre maggiore attenzione viene rivolta a regimi alimentari sani ed equilibrati, e questo spesso comporta un abbandono parziale o totale della carne. Nel 2010, il primo ministro Wen Jiabao propose una campagna nazionale chiamata "un giorno vegetariano alla settimana" (měi zhōu yī sù 每周一素), principalmente come parte di una più ampia piattaforma ambientale. Oltre a una crescente consapevolezza verso i problemi ambientali e di salute, la tendenza a consumare sempre meno carne è alimentata anche da una crescente preoccupazione per quelli che sono i diritti degli animali, sia selvatici che domestici. Nelle metropoli cinesi sono sempre più comuni infatti pubblicità e movimenti finalizzati a portare una maggiore attenzione su tematiche animaliste. Secondo un articolo del South China Morning Post, il mercato vegan cinese dovrebbe aumentare di oltre il 17% nei prossimi cinque anni, con il tasso di crescita più veloce, in questo settore, a livello internazionale. Numerosi scandali alimentari, come quello del latte nel 2008 o della carne di maiale nel 2013, hanno portato la popolazione cinese a prestare sempre più attenzione a quello che decidono di mettere in tavola. Mentre prima la priorità era solo quella di riempirsi la pancia, adesso è altrettanto importante farlo in maniera sana e accorta.  

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Il totale vegetarianismo rimane però ancora una pratica poco diffusa. La Cina è il principale mercato mondiale per la carne di manzo, maiale e pollame e proprio qui si mangia metà della carne di suino prodotta in tutto il mondo. La quantità di carne consumata mediamente da ogni cinese rimane, nonostante tutto, più bassa rispetto a quella consumata da un americano o da un europeo. Se tutti i cinesi dovessero iniziare a mangiare carne come fa uno statunitense, le conseguenze per l’ambiente sarebbero disastrose. In Cina, un paese che fino a non troppo tempo fa era immerso nella povertà, mangiare carne è diventato un simbolo di benessere e di ricchezza. In passato la carne veniva mangiata quasi solo per le occasioni speciali ed era simbolo di festa, un po’ come succedeva nelle campagne italiane ai tempi dei nostri nonni. Attualmente però la situazione si è quasi capovolta. Non è raro, quando si fa la spesa nelle grandi metropoli, pagare di più la frutta e la verdura che la carne, in particolare quella di pollo e di maiale.

In Cina la carne, anche se in piccole quantità, viene inserita in quasi ogni pietanza. I piatti non di rado vengono saltati o soffritti nel grasso di maiale e la carne viene usata per fare salse, condimenti e brodi in cui si fanno bollire altri alimenti. Un esempio è l’usatissima háo yóu 蚝油, la salsa di ostriche, o l’esaltatore di sapidità jī jīng 鸡精che viene inserito un po’ ovunque, a base di glutammato, sale e carne polverizzata di pollo. Questa è spesso la principale difficoltà incontrata dai vegetariani che vivono nel paese del dragone o che ci si recano per turismo/lavoro. Per i vegani il discorso diventa ancora più complicato. Prima di tutto non è raro incontrare cinesi, anche all’interno di ristoranti, che non conoscono la differenza esatta tra vegetariano e vegano. In secondo luogo, per quanto a volte vi possano garantire di non usare carne a fare il piatto da voi ordinato, non è detto che sia sempre così. Spesso infatti, non conoscendo bene loro stessi che cosa sia il vegetarianismo, pensano che usare questi prodotti non sia un problema.

Il vegetarianismo è forse il contributo più importante che il buddismo ha fatto per la cucina cinese. I monaci buddisti in Cina sono tenuti a seguire una dieta vegetariana, e spesso rinunciano anche a uova e ad altri prodotti di origine animale. Dal tredicesimo secolo, una sempre più forte richiesta da parte della popolazione buddista ha portato molti ristoratori ad elaborare piatti fatti apposta per loro e, con il passare del tempo, all’apertura di veri e propri ristoranti vegetariani. Durante la dinastia Qing (1644 -1911) la cucina vegetariana iniziò ad essere vista non più come un tipo di cucina solo collegata alla religione, iniziando a diffondersi anche all'interno delle corti imperiali. Come base della cucina vegetariana buddista ci sono la verdura, la frutta, i funghi, i fiori e le erbe medicinali. Uno studio condotto quest'anno all’Arizona State University ha mostrato che i buddisti cinesi e le loro scelte alimentari riducono le emissioni di gas serra di 40 milioni di tonnellate l’anno.

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Ad oggi, in tutte le grandi città si riescono a trovare ottimi ristoranti vegetariani, leggermente più cari rispetto ai ristoranti tradizionali ma spesso di buona qualità. In Cina esistono circa 500 piatti vegetariani, portando la "cucina cinese vegetariana" ad essere quasi una vera e propria scuola di cucina a sé stante. Ho provato personalmente diversi ristoranti vegetariani a Pechino, Nanchino e Shanghai. In questi ristoranti è quasi sempre possibile trovare molti piatti della tradizione culinaria cinese, rivisitati ed adattati alle esigenze di chi non mangia carne. La differenza con la versione originale dei piatti proposti, sia per il gusto che per l'aspetto, è spesso impercettibile. 

Per chi si reca a Pechino consiglio il ristorante yè bō zhāi 叶钵斋, vicinissimo al Tempio dei Lama, mentre a Nanchino il gǔ jīmíngsì sùcàiguǎn 古鸡鸣寺素菜馆, ristorante vegetariano a fianco del tempio Jiming. Un altro consiglio che ci tengo a dare è di imparare alcune frasi che possono tornare utili quando si va, da vegetariani o vegani, a mangiare fuori in Cina. Se non parlate cinese vi conviene fare direttamente leggere al cameriere o al ristoratore le frasi scritte in caratteri e stampate magari su di un foglietto. Ecco alcune delle frasi che potrebbero tornarvi utili.

Sono vegetariano – wǒ shì sùshí zhě 我是素食者 

Sono vegetariano (termine che indica un’astinenza dalla carne più di tipo religioso) - wǒ chī zhāi 我吃斋

Sono vegano (frase che spesso non tornerà molto utile dato che in tanti non conosco la differenza tra vegetariano e vegano, soprattutto nella Cina continentale) – wǒ shì chún sùshí zhě 我是纯素食者 

Mangio solo prodotti di origine vegetale– wǒ zhǐ chī zhíwù xìng shípǐn 我只吃植物性食品

Per favore non usare olio animale - qǐng bù yào yòng dòngwù yóu zuò cài 请不要用动物油做菜

Non mangio carne – wǒ bù chī ròu 我不吃肉 

Non mangio pesce – wǒ bù chī yú 我不吃魚

 

 

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“Tra Cina e Italia” punta ad essere un punto di riferimento, in particolare (ma non solo) per coloro situati tra Modena e Reggio Emilia, per coloro che vogliono capire di più o per quelli che hanno a che fare con il mondo cinese. Quello che sogno è di riuscire a portare un po’ di Cina autentica anche qui, avvicinando le persone a un mondo di cui sanno molto poco o di cui hanno una visione non sempre corrispondente alla realtà. Sul sito verranno pubblicati regolarmente post che parlano della Cina e che vorrei condividere con tutti coloro che condividono questa passione. Dalla cultura al cibo, dalla lingua ai viaggi. Cercherò di inserire nei post anche alcuni scatti a cui sono particolarmente legato, scelti tra le migliaia di foto fatte in questi anni. “Tra Cina e Italia” offre diversi servizi, come per esempio corsi di lingua cinese (sia per privati che per aziende) o di italiano per cinesi. Servizi di traduzione ed interpretariato, così come di accompagnatore viaggi. Corsi e serate, portate avanti insieme ad un cuoco professionista, per imparare a cucinare il cibo cinese (quello vero). Si organizzano anche eventi dedicati all’approfondimento della cultura e della società cinese.

 

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Le bacchette cinesi

Ormai i ristoranti asiatici sono ovunque e a tutti è capitato di provare almeno una volta ad usare le bacchette, che solitamente troviamo a fianco del piatto. Ma quanto sappiamo di queste posate orientali? Qual è la loro storia? Quali sono le azioni da evitare quando si usano? Che problemi ambientali portano?

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Le bacchette sono nate in Cina e il loro utilizzo risale alla dinastia Shang (1600 – 1100 a.C.), hanno perciò almeno più di tremila anni di storia. Nello shǐjì 史记 di Si Maqian è scritto come l’imperatore Zhou Wang 紂王usasse delle bacchette di avorio per mangiare. Si narra che Zhou avesse ordinato ai suoi artigiani di creare due bacchette dalle zanne di un elefante, arrivando così ad essere il primo nella storia cinese ad avere bacchette preziose. Un'altra leggenda, ambientata sempre in epoca Shang, riguarda una concubina imperiale di nome Daji 妲己. Il cuoco di corte aveva preparato cibo troppo bollente per i gusti dell'irascibile imperatore e, senza l'intervento della concubina, sarebbe sicuramente stato condannato a morte. Daji decise infatti di imboccare il sovrano con degli spilloni che portava nei capelli, usandoli come si usano oggi le bacchette. La cosa venne ritenuta molto sensuale dal sovrano e questa usanza si diffuse in tutto il paese. In realtà, di leggende su come nacquero le bacchette ce ne sono molte, alcune più fantasiose ed altre più verosimili. Ciò che sappiamo è che l’utilizzo delle bacchette portò all’abbandono della pratica di mangiare con le mani, diffusa largamente fino a quel momento. L’idea delle bacchette, che inizialmente consistevano in ramoscelli e pezzetti di legno di diverse dimensioni, nacque probabilmente dalla necessità di avere uno strumento con cui prendere il cibo nelle zuppe o cotto in acqua bollente.

Successivamente l’uso delle bacchette si diffuse anche al Giappone, alla Corea, al Vietnam e a molti altri paesi dell’Asia Orientale e del Sud-est Asiatico. Le bacchette cinesi, giapponesi e coreane non sono però identiche. Le prime tendono ad essere più lunghe e di forma rettangolare, le seconde corte e coniche e le ultime quasi sempre fatte di metallo. Al giorno d’oggi le bacchette sono fatte di molti materiali:  principalmente di legno e di bambù, ma anche di plastica e di metallo. Sono diventate parte integrante della cultura culinaria cinese e se ne trovano anche di molto preziose, adatte per fare regali o a essere messe in mostra come soprammobili. Oltre che per mangiare, le bacchette di metallo vengono anche utilizzate per cucinare.

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Di bacchette se ne possono trovare di ogni colore e di ogni forma ma particolarmente comuni nei ristoranti sono le bacchette usa e getta. La produzione di quest’ultime è stata negli ultimi anni oggetto di critiche e di grande attenzione. È stato calcolato che solo in Cina vengono usate e gettate ogni anno circa 45 miliardi di paia di bacchette, pari a 130 milioni al giorno, e che per produrle vengono utilizzati circa 25 milioni di alberi adulti. Altri 18 miliardi di paia vengono esportati. Solo in Cina più di 60000 persone lavorano nella produzione di bacchette. Negli ultimi anni sono sempre più numerosi i movimenti che invitano le persone a non utilizzare le bacchette usa e getta, ma bensì quelle di plastica o di metallo, che sono facilmente lavabili e riutilizzabili. Lo stesso governo cinese sta prendendo provvedimenti per far sì che i ristoranti non utilizzino più le bacchette usa e getta, anche se più economiche.

Quando si usano le bacchette, in particolare se si è in Cina, è bene ricordarsi alcune semplici regole. Non bisogna mai lasciare le bacchette piantate verticalmente nel cibo, perché questo ricorda l’incenso bruciato per i morti davanti alle tombe. È importante anche evitare di sbattere rumorosamente le bacchette sulla ciotola con cui si sta mangiando, perché è ciò che erano soliti fare i poveri per attirare l’attenzione e mendicare del cibo. È maleducato usare le bacchette per indicare qualcuno, giocherellarci o succhiarne l’estremità.

E in cinese come si dice “bacchette”?

In antichità, prima della dinastia Qin, le bacchette venivano chiamate jiā , termine successivamente sostituito da  zhù ,  utilizzato invece durante la dinastia Qin e quella Han. Anche quest’ultimo venne però sostituito in quanto omofono con zhù , che significa fermarsi/smettere, considerata una parola di cattivo auspicio. Il termine utilizzato successivamente divenne poi kuài zi 筷子, utilizzato tutt’oggi per indicare le bacchette. Chi è in parte familiare con la lingua cinese può notare come nella parte superiore del carattere sia stato inserito il radicale del bambù. Gran parte della bacchette, come già detto, erano e continuano ad essere fatte di questo materiale.

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Tra Cina e Italia” punta ad essere un punto di riferimento, in particolare (ma non solo) per coloro situati tra Modena e Reggio Emilia, per coloro che vogliono capire di più o per quelli che hanno a che fare con il mondo cinese. Quello che sogno è di riuscire a portare un po’ di Cina autentica anche qui, avvicinando le persone a un mondo di cui sanno molto poco o di cui hanno una visione non sempre corrispondente alla realtà. Sul sito verranno pubblicati regolarmente post che parlano della Cina e che vorrei condividere con tutti coloro che condividono questa passione. Dalla cultura al cibo, dalla lingua ai viaggi. Cercherò di inserire nei post anche alcuni scatti a cui sono particolarmente legato, scelti tra le migliaia di foto fatte in questi anni. “Tra Cina e Italia” offre diversi servizi, come per esempio corsi di lingua cinese (sia per privati che per aziende) o di italiano per cinesi. Servizi di traduzione ed interpretariato, così come di accompagnatore viaggi. Corsi e serate, portate avanti insieme ad un cuoco professionista, per imparare a cucinare il cibo cinese (quello vero). Si organizzano anche eventi dedicati all’approfondimento della cultura e della società cinese.

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Cibo cinese Made in Italy

Spesso gli italiani non conosco la vera cucina cinese. Conoscono solo quei piatti italianizzati che vengono presentati nei ristoranti cinesi sparsi per le nostre città. Quest’ultimi sono ormai quasi tutti ristoranti sino-giapponesi in versione All you can eat: dei ristoranti contraddistinti da lanterne, pieni di paraventi e statuette di Buddha, non ne rimangono così tanti. Nei piatti serviti vi è spesso ben poca somiglianza con quello che potreste ritrovarvi in realtà sul tavolo di un qualunque ristorante in Cina. Se ci fate caso, è molto raro vedere cinesi mangiare in uno di questi ristoranti. È come per noi andare a mangiare la pizza in America o in Cina, magari con sopra un po’ di ananas, di ketchup o di tofu. A Milano, e forse in qualche altra città ove sia presente una grande comunità cinese, si possono invece trovare alcuni ristoranti decisamente sopra la media. Ristoranti in cui la clientela è composta in buona parte anche da clienti cinesi, e questo è sempre un buon indizio per capire se il cibo si avvicina a quello originale. Se vi capita di fare un salto a Milano vi consiglio il ristorante Mao Hunan e il ristorante Hua Ta (con versione di molti piatti anche gluten free).

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Dimenticate pure il pollo alle mandorle, il gelato fritto o i biscotti della fortuna. Tutte queste sono cose che sono state inventate per gli occidentali, o comunque variazioni di piatti tradizionali, fatte per avvicinarsi ai gusti del nostro paese. L’idea che gli italiani hanno della cucina cinese è spesso di una cucina pesante, gustosa (perché spesso fritta) ma senz’arte e poco salutare. Nei menù dei ristoranti cinesi in Italia, per esempio, nella sezione dei dolci trovate un elenco di nomi tutti seguiti dalla parola “fritto/a”: banana fritta, mela fritta, gelato fritto, frutta mista fritta, nutella fritta, ananas fritto e chi più ne ha più ne metta. Mai visti in nessun ristorante in Cina, in cui spesso manca la sezione dei dolci o, se presente, è spesso composta da piatti come panini al vapore ai fagioli rossi, dolcetti alla zucca o sfogliatine di farina ripiene di sesamo e zucchero. Nei ristoranti in Cina vi sono mille odori, alcuni deliziosi ed altri decisamente meno buoni. Odori dovuti a spezie, erbe, oli, bolliti e fritture. Odore di cibo insomma. Quel tipico odore di fritto da ristorante cinese (“che poi rimane attaccato ai vestiti e ai capelli”, come dicono i miei amici rifiutandosi a volte di venire al cinese), io là non l’ho mai sentito.

Nonostante anche in Cina se ne faccia uso, la grande quantità di glutammato utilizzata dai ristoranti cinesi in Italia porta spesso quasi tutti i piatti ad avere lo stesso sapore. La cucina cinese autentica è estremamente varia. Ricca di salse e fritture così come di verdure e leggerissimi piatti al vapore. Basta entrare in un qualunque supermercato di Pechino per accorgersi della grande varietà di verdure, spezie, carni e farine che i cinesi usano nel far da mangiare. In Cina, paese grande quasi come l’Europa, ogni regione ha i propri piatti tipici. Si passa dalla cucina agrodolce e a base di pesce di Shanghai a quella piccantissima del Sichuan, dalla cucina mediorientale dello Xinjiang ai piatti a base di farina dello Shanxi. Alcune pietanze, ormai famose in tutta la nazione, si possono comunque trovare nei menù in quasi tutte le regioni.

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Tra i vari servizi che Tra Cina e Italia offre vi sono anche serate e corsi, svolti a Modena o Reggio Emilia, per imparare a cucinare il vero cibo cinese. Le serate vengono portate avanti insieme ad un cuoco cinese professionista. Quest’ultimo, affiancato da un interprete, mostrerà passo per passo che ingredienti usare, dove reperirli e come cucinare certi piatti autentici della tradizione.

 

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Chaobing: la focaccia saltata del nord della Cina

Il governo cinese negli ultimi anni ha portato avanti un importante piano finalizzato a modernizzare le città del paese, mettendo a norma gli edifici e migliorandone le condizioni igieniche. Pechino, dove spesso le nuove norme vengono applicate con particolare rigore, ha subito in un paio d’anni un grandissimo cambiamento. Non sono solo però le città principali a cambiare, ma tutte le città cinesi di primo e di secondo livello. Questo cambiamento, di cui parleremo più nel dettaglio in uno dei prossimi articoli, porta spesso alla scomparsa di tantissimi ristorantini di piccole dimensioni che in passato erano invece presenti in quasi ogni via cinese. È proprio in questi locali a conduzione familiare, dove le condizioni igieniche non sono delle migliori, che si riescono a trovare molti di quei piatti tipici e caserecci che spesso non finiscono nei menù dei grandi ristoranti proprio a causa della loro “rusticità”. Tra questi piatti troviamo i chǎo bǐng  炒饼, letteralmente “focaccia saltata”.

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Il piatto viene preparato tagliando a strisce una focaccia fatta con farina, acqua e uova. Tale focaccia, in cinese lào bǐng 烙饼, è diffusissima in tutta la Cina del nord e reperibile in qualunque supermercato. Le striscioline ottenute vengono fatte saltare velocemente in padella insieme ad altri ingredienti. Tra i più comuni troviamo il cavolo cinese, la carne di maiale e l’aglio. Dato che molti stranieri, a differenza dei cinesi, non sono abituati a consumare grandi quantità di aglio, potete tranquillamente chiedere che quest’ultimo non venga messo nel piatto, il quale risulterà più leggero e ugualmente gustoso.

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I chaobing sono un piatto tradizionale della cucina cinese settentrionale, comunemente diffuso nello Hebei, nello Shanxi, nello Henan e a Pechino. È particolarmente famoso nella città di Changzhi 长治 nello Shanxi, dove si dice che questo piatto sia nato e dove è conosciuto anche con il nome lú bǔ 炉卜, diffondesi successivamente in tutta la Cina del nord e cambiando leggermente di luogo in luogo per quanto riguarda la ricetta e i condimenti.

Di questo piatto non se ne conosce con certezza l’origine ma, come molti altri di questi piatti poveri, se si chiede ai locali dicono che è sempre stato presente sulle loro tavole. In realtà nella regione dello Shanxi circola una storia sulla nascita dei chǎo bǐng 炒饼, anche se non si è certi della sua affidabilità storica. Si narra che il famoso calligrafo e pittore Feng Shiqiao 冯士翘 fosse solito passare le giornate in mezzo ai contadini, la cui vita era per lui fonte di ispirazione. Un giorno, arrivato a casa di una famiglia del luogo fu invitato a mangiare con loro. Per l’occasione gli sarebbe stato preparato il piatto che solitamente veniva cucinato nella zona quando si avevano ospiti. La pietanza, che data la sua bontà lasciò il calligrafo entusiasta, era stata cucinata con cavolo cinese, tagliatelline di soia e zuppa di pollo. Una volta tornato a casa, 冯士翘 spiegò alla moglie come era stato fatto il piatto, chiedendole di cucinarlo per lui. Tentativo dopo tentativo, il piatto desiderato dal marito continuava a non riuscirle, finché un giorno decise di utilizzare una focaccia tagliata a striscioline al posto delle tagliatelle di soia che non aveva in casa. Cercando di non farle diventare troppo morbide, evitò di metterle nella zuppa e optò per fare una pietanza asciutta, saltata in padella. Quando Feng tornò a casa si innamorò di questa nuova versione del piatto, che elogiò nelle sue opere e che fece conoscere ai contadini ogni volta che si recava a mangiare con loro. Da quel momento i chǎo bǐng  炒饼, che nella zona però mantennero il nome originario di lú bǔ 炉卜, diventarono il piatto immancabile in ogni ristorante del posto.

La prima volta che ho mangiato i chǎo bǐng 炒饼 è stato per caso, in un piccolo ristorante vicino all’Università di lingue straniere di Pechino. Mentre oggi quelle vie hanno un aspetto completamente differente e non vi sono più locali del genere, nel 2012 erano ancora affollate di gente che mangiava ravioli, spaghetti o appunto chǎo bǐng 炒饼 lungo la strada. Spesso vi erano delle vere e proprie "rèzdore", come diciamo noi in Emilia, che facevano tutto a mano sul momento. È un peccato che  non si sia fatto niente per mettere a norma questi locali, preservando la tradizione e questi posti di ritrovo collettivo. Oggi, ormai, vi sono quasi esclusivamente catene di ristoranti e fast food. I Chaobing sono spesso considerati anche uno street food ed al nord è spesso uno dei piatti proposti da tutti i furgoncini ambulanti, sempre più rari soprattutto nelle grandi città, che preparano il cibo lungo la strada.

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